La sessualità è una sfera molto composita, non legata alla sola genitalità ma connessa con sentimenti ed emozioni, valori, giudizi, stereotipi e pregiudizi, norme culturali e giuridiche. Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità la salute sessuale deve essere considerata parte integrante dello stato generale di un individuo. In qualsiasi fase della vita.
Solo negli ultimi decenni si è cominciato a parlare di sessualità della terza età, argomento prima poco trattato se non addirittura evitato. Le trasformazioni culturali e soprattutto la variazione dell’aspettativa di vita lo hanno reso invece di estrema attualità.
Lo stadio avanzato della maturità adulta non comprende necessariamente la regressione sessuale; esso è al contrario un momento in cui attuare importanti esplorazioni di un nuovo potenziale sessuale. Infatti la sessualità nasce con l’individuo, ma attraverso varie fasi di sviluppo si connota e raggiunge di volta in volta livelli e mete diverse.
Alle fasi di infanzia, fanciullezza, pubertà, adolescenza, giovinezza ed adultità si usa oggi aggiungere la presenza di un lungo periodo caratterizzato da sessualità attiva post riproduttiva; in ambito sessuologico non si parla più di ‘terza età’, bensì di ‘età conquistata’ prima della senescenza. Con ‘età conquistata’ si intende quel periodo di 25-30 anni nel quale la sessualità non è legata alla riproduzione, ma ha ancora una grossa valenza di autorealizzazione e di rinforzo dei legami. Si tratta di quella fase di vita che per le donne si può facilmente identificare con il periodo successivo alla menopausa; nell’uomo non si può parlare di un analogo della menopausa femminile, ma dai cinquant’anni in poi si hanno variazioni ormonali che ugualmente mutano la sensazione soggettiva di soddisfazione sessuale.
Molti studi scientifici mostrano che in questo periodo vi può essere addirittura un miglioramento della sessualità. Infatti i meccanismi reattivi del corpo non scompaiono, ma semplicemente cambiano: vi è ad esempio un rallentamento della dinamica eccitatoria, nell’uomo si allungano i tempi di latenza, vi è una netta diminuzione della lubrificazione e così via. Facilmente questi mutamenti generano insicurezza e preoccupazione; spesso la donna non si percepisce più come oggetto di desiderio e avverte un senso di insicurezza nelle proprie capacità seduttive, mentre l’uomo interpreta i cambiamenti fisiologici come un fallimento.
Si insinua così lo stereotipo di una sessualità che si indebolisce e questo può generare la credenza che essa sia superflua, pericolosa o non meritevole di essere esplorata. A volte, al contrario, le esigenze affettive e sessuali restano molto attive col progredire dell’età, ma emerge la paura del rischio che gli altri possano non capirle, con conseguente vergogna dei propri legittimi desideri.
Sono quindi vari i fattori che impediscono di vivere con serenità quella che è semplicemente una fase diversa, da scoprire e da vivere con gioia: fra questi la non corretta informazione sulle modificazioni fisiologiche che subisce il corpo, le implicazioni psicologiche che ne derivano, la mancanza di condivisione e confronto con il partner, i familiari e le persone che ci circondano. È importante ricordarsi che con il passare degli anni la sessualità si fa diversa, ma non peggiore. Si tratta di una sessualità sfumata, raffinata, non solo focalizzata sugli organi genitali e sul coito, che richiede comportamenti, azioni e modi di porsi di fronte al piacere altri dalle età precedenti. Una sessualità che è comunicazione di accettazione di un altro corpo, nel quale si rispecchiano i cambiamenti del proprio.
Dott. ssa Simona Sola
Psicoterapeuta – Sessuologa Clinica
L’ultima metà del secolo appena trascorso è stata caratterizzata dal continuo susseguirsi d’innovazione tecnologica. Seguendo un ritmo costante, le nuove tecnologie sono entrate man mano a far parte della nostra vita quotidiana introducendo modificazioni radicali dell’ambiente in cui ci muoviamo e significativi cambiamenti del modo in cui interagiamo con gli altri. L’avvento di nuovi e sempre più potenti computer, smartphone, laptop e tablet ma sopratutto la diffusione dei nuovi media, attraverso la rete internet e il facile accesso che la caratterizza, ha comportato un cambiamento profondo nella comunicazione e nelle abitudini dell’uomo del terzo millennio. L’accesso ad internet è stato riconosciuto da costituzioni, leggi nazionali e risoluzioni del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa come diritto fondamentale, in quanto si riconosce nella rete un portatore di conoscenza universale e quindi la si può considerare un bene comune globale. La rete è oggi una comunità globale costituita da miliardi d’individui che si connettono per lavorare, istruirsi ma sopratutto per trovare momenti di svago ed evadere dalla realtà di tutti i giorni. Uno dei principiali fautori del World Wide Web così come lo conosciamo oggi, Tim Berners Lee, sostiene che “..il Web è ben lungi dall’essere fatto, è solo in una fase ferraginosa di costruzione..”. Potremmo definire la rete delle reti come un enorme cantiere in corso di realizzazione che sfida l’umana immaginazione e le capacità di chi ogni giorno si addentra nell’immensità del cyberspazio. La ricerca sulla dipendenza da internet ha alle proprie spalle relativamente pochissimi anni di sviluppo e tutt’ora non esiste una visione univoca del problema benché i ricercatori si siano ingegnati nella costruzione di appositi reattivi e test basati sui metodi d’indagine proposti dai manuali diagnostici. Per meglio comprendere i comportamenti legati all’abuso d’internet, bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1994, l’anno in cui la dottoressa Kimberly Young ricevette una telefonata da un’amica che le chiedeva un aiuto psicologico per suo marito, poiché questo passava tutto il suo tempo libero online, spingendola a pensare seriamente al divorzio. Fu questa telefonata ad avviare la dottoressa Young verso una serie di ricerche riguardo l’uso patologico della rete e la conseguente redazione di un questionario Young Diagnostic Questionnaire composto da otto domande, per individuare una eventuale dipendenza da internet. Si può quindi individuare in questa serie di eventi l’inizio del dibattito in merito all’uso patologico dei nuovi media. Internet ha finora accelerato in modo esponenziale il progresso tecnologico, reso “il tempo reale” l’unica dimensione temporale valida e compresso migliaia di chilometri alla distanza tra lo schermo di uno smartphone ed il volto dell’utente, rappresentando una vera e propria rivoluzione culturale e mediatica che ha neutralizzato spazi e distanze e mitigato i confini tra produttori di contenuti e semplici consumatori. Tuttavia è anche luogo di un vero e proprio paradosso mediatico, palesando una sorta di anomalia che capovolge il suo significato più intimo: gli intenti unificanti della rete, alla fine si sono fatti portatori di profonde e potenzialmente incolmabili divisioni. Mark Prensky coniò l’espressione nativo digitale nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” pubblicato nel 2001 e diffusa in Italia dal saggio “Nativi digitali “ del 2011 di Paolo Ferri. Il termine è stato più volte rivisto dallo stesso autore ed è stato oggetto di diverse critiche soprattutto perché nessuna delle proposte di Prensky è stata supportata da dati scientifici. Nella sua prima stesura il termine identifica una persona che è cresciuta con le tecnologie digitali come i computer, Internet, telefoni cellulari e MP3 facendo riferimento alle persone nate negli USA dopo il 1985 come nuovo gruppo di studenti che accede al sistema dell’educazione. Per contro, chi non è nativo digitale ma utilizza le tecnologie si definisce immigrato digitale. Quindi l’espressione sottolinea la costituzione di una robusta barriera generazionale tra nativi digitali e immigrati digitali: i primi alfabetizzati ai codici digitali, si chiudono in una sorta di “solipsismo internettiano”, comunicano a una diversa velocità e con altri linguaggi rispetto ai secondi, figli dell’epoca analogica, i quali sono costettti a calarsi in un nuovo ruolo, ma soprattutto in uno nuovo ambiente complesso e sostanzialmente sconosciuto, a causa di un diverso imprinting mediatico. Forse la divisione più importante nell’economia dell’analisi del fenomeno, è quella tra genitori e figli, in cui i primi sono sprovvisti dei basilari strumenti di controllo e tutela, mentre i secondi, abili e digitalmente autoctoni, sono esposti a tutte le potenziali insidie provenienti dal web e soprattutto, qualora si presentino, non comunicano a nessuno le criticità e le problematiche, più o meno gravi, che ne derivano. Appare comunque ingeneroso e intellettualmente scorretto, pur tenendo in considerazione tutti questi elementi, demonizzare il mezzo o la piattaforma che, in quanto declinazione digitale di un ambito sociale in cui coesistono il bene e il male, diffonde il dialogo tra questi ultimi che si palesa nella nostra quotidianità. Altrettanto sbagliato sarebbe glorificare la spinta democratizzante insita nella rete che legittima tutti a essere i poli di una comunicazione sempre in movimento. L’uso di internet si rivela avvincente quando ciò viene a scapito della genuina socievolezza della vita reale. Mi riferisco qui al fenomeno degli hikikomori, cioè l’estremo ritiro di giovani adulti ed adolescenti, nella propria stanza. Le caratteristiche intrinseche agli adolescenti ne fanno la fascia di popolazione maggiormente esposta alle insidie della rete.
L’adolescenza è una fase della vita ricca di cambiamenti a livello psico-fisico. I ragazzi cominciano a conoscere più da vicino il mondo degli adulti e sentono che vogliono farne parte. Cercano una maggiore indipendenza dalla famiglia di origine, rivolgendosi verso i coetanei, ritenuti più simili a sé. Nel gruppo di pari il giovane ha la possibilità di fare esperienza delle proprie capacità, di apprenderne di nuove, di ricercare delle sicurezze che sono venute meno a causa di tutti questi cambiamenti. La pubertà segna l’inizio dell’adolescenza. Oltre al cambiamento fisico, ci sono esperienze emozionali molto intense date dalle modificazioni corporee che impongono la ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con gli altri e con il sé; anche la precocità del cambiamento rispetto ai coetanei o il suo ritardo può suscitare ansie ed incertezze. Questi cambiamenti fisici fanno si che l’individuo venga trattato dalle persone con cui entra in contatto in modo diverso da come veniva trattato da bambino; le richieste a lui rivolte, e le aspettative non sono più le stesse; ci si aspetta da lui un comportamento adulto ma lo si continua a considerare non del tutto autonomo. In questa fase l’adolescente è consapevole della modificazione delle sue relazioni e di conseguenza egli modifica il proprio atteggiamento verso sé stesso e il mondo circostante. Gli studenti, secondo la maggior parte delle ricerche intraprese finora, sviluppano problemi legati all’uso della rete: spesso sono ragazze e ragazzi solitari con tendenze all’introversione e alla scarsa stima in se stessi. Il progressivo ritiro dal mondo reale, per confinarsi in un mondo virtuale, diviene una sorta di rifugio della mente. Ciò consente alla persona d’evitare nella misura massima possibile le ferite narcisistiche e i sentimenti spiacevoli, come la colpa e la vergogna. Permette di liberarsi dei legami propri di ogni situazione di dipendenza matura, alimentando subdoli sentimenti d’autosufficienza e onnipotenza.
La condizione più grave è quella in cui l’internauta perde progressivamente ogni interesse per l’interazione con altri andando incontro ad una crescente desocializzazione dove non vi è traccia di un fine ultimo. L’internauta si perde nel surfing online rincorrendo una pura ricerca d’eccitamento che vada ad alleviare, almeno momentaneamente, gli effetti depressivi causati dall’eccessivo tempo speso online. Come nelle tossicodipendenze da sostanze, l’importante è stordirsi, scacciare il dolore psichico e l’angoscia del crollo. Stati d’eccitazione e di euforia possono manifestarsi al di fuori di dipendenze chimiche ed è dimostrato l’instaurarsi di una relazione di dipendenza fra un individuo e una particolare attività ripetuta compulsivamente. E’ importante sottolineare il fatto che una dipendenza da internet è fondamentalmente differente da qualsiasi altra dipendenza, chimica o tecnologica che sia, proprio a causa della natura estremamente informativa del mezzo. Sarebbe miope soffermarsi sugli effetti dannosi, lasciando in ombra le enormi opportunità offerte dalle realtà virtuali: la sterminata accessibilità all’informazione e alle possibilità di comunicazione globale e lo sviluppo di nuove possibilità nella crescita della ricerca scientifica sono la premessa di un universo della simulazione che promette di diventare sempre più sofisticato.
Internet è una fonte inesauribile di dati aperta a chiunque sia capace di maneggiarli e spesso capita che gli internet-dipendenti cerchino la soluzione ai loro problemi di dipendenza interrogando proprio quella che è la causa del loro malessere. Su Google , il più cliccato motore di ricerca al mondo la parola IAD (Internet Addiction Disorder) produce più di 7 milioni di risultati e non è raro che gli utenti abbiano trovato, facendo essi stessi una piccola ricerca sul web, informazioni più o meno corrette riguardo questo fenomeno e si siano in qualche modo avvicinati un po’ di più alla soluzione del proprio malessere.
La stessa D.ssa Kimberly Young offre terapie online da svolgere in video conferenza, e sono centinaia i forum sull’argomento. Non sarebbe ragionevole, inoltre enfatizzare i rischi di dipendenza patologica pensando che dedicare alcune ore al giorno in chat, visitare siti internet o partecipare a videogiochi sia necessariamente uno scherzare col fuoco. Il rischio di dipendenza non è superiore a quello che si corre nel lasciarsi assorbire dai programmi televisivi preferiti o nel sorseggiare una birra fresca con gli amici. Internet è sia un’attività piacevole che può sfuggire di mano, come qualsiasi altra attività che svolgiamo nel tempo libero e che sia uno sfogo per dipendenze preesistenti, che non devono essere trascurate prima di considerare la dipendenza dal medium come un fenomeno sé stante. Una internet-dipendenza in genere s’instaura in soggetti per cui una preesistente sofferenza mentale spinge ad approfittare delle suggestioni offerte dal media e dai videogiochi per sottrarsi all’ansia e alla fatica psichica prodotta dalle relazioni sociali. Sono proprio questi i casi che costituiscono la nuova sfida umana e scientifica per chi si appresta a studiare le psicopatologie del terzo millennio.
E’ la società che cambia la tecnologia e non viceversa.
La storia e’ ricca di testimonianze e casi di resistenza al cambiamento e diffidenza verso le novità: le preoccupazioni che social media e videogiochi possano compromettere infanzia e adolescenza, causino danni neurologici, rovinino la vista, creino un’epidemia di obesità, riducano il sonno e scatenino la depressione permangono nella mente di molti. Il cambiamento determinato dalla tecnologia sta in effetti trasformando radicalmente l’infanzia e l’adolescenza, cosicché i ragazzi accolgono le novità, mentre gli adulti non riescono a dare un senso a questo cambiamento e si sentono disorientati. Manca la consapevolezza del fatto che ogni generazione abbia giocato in modo diverso. Cosi l’infanzia 2.0 non e’ legittimata dagli adulti, più spesso sedotti dalla nostalgia della propria infanzia. Diventa quindi necessario guidare i ragazzi per arricchire di valori la dimensione digitale. L’Identità è legata al contesto storico: quella dei giovani di oggi è connessa alla rivoluzione digitale e poiché nei più giovani i valori vanno coltivati, gli adulti hanno il compito e il dovere di entrare nel mondo digitale dei ragazzi, esplorarlo, al fine di guidarli e incrementare con sistemi valoriali validi e persistenti questa nuova dimensione offerta dalla rete.
Dott. Perri Marco
Psicologo Clinico specializzando in psicoterapia psicodrammatica.
Ha partecipato come formatore a diverse iniziative sul territorio per sensibilizzare riguardo la diffusione delle nuove tecnologie e le nuove dipendenze.
E’ autore del testo: I.A.D. – Internet Addiction Disorder: critiche e perplessità. Review (Edizioni Accademiche Italiane, 2015)
Email: psyperri@gmail.com
Il compito di un genitore è quello di essere ‘il più forte, il più grande e il più saggio’ di fronte ai propri figli. Questo è quello che sostiene la teoria dell’ attaccamento di John Bowlby, medico psicoanalista britannico, importante studioso dei legami affettivi e dello sviluppo della crescita degli individui.
Il suo punto di partenza è stata l’etologia, cioè l’osservazione del mondo animale, in particolare gli studi di Harry Harlow che dimostrano che i piccoli, i cuccioli, preferiscono l’agio del contatto corporeo e della presenza fisica all’approvvigionamento di cibo. Partendo da qui Bowlby (seguito poi da molti altri studiosi) ha dimostrato come anche negli esseri umani la vicinanza di un individuo con maggiore esperienza di vita sia fondamentale per affrontare il mondo in maniera adeguata.
‘Più forte, più grande, più saggio’ non ha nulla a che vedere con la perfezione. I genitori perfetti non esistono, così come non esistono i figli perfetti; ognuno fa sempre il meglio che può fare. Il compito di un genitore è quello di accompagnare e stare a fianco, stare vicino, insomma di ‘esserci’ per i propri figli.
Anche la sessualità è un mondo da esplorare, in cui è necessario un accompagnare attento.
Molto spesso mamme, papà o coppie di genitori mi portano in studio l’imbarazzo del parlare di sessualità con i propri figli: quando cominciare, come fare, cosa dire?
“Mamma papà, come nascono i bambini?” oppure “Mamma, papà, stasera posso uscire con il mio ragazzo?”: due situazioni legate ad età molte diverse tra di loro che fanno però entrambe scattare allarme e preoccupazione nei genitori. Figli preoccupati, genitori preoccupati, risultato: nessuna informazione sana sulla sessualità.
Il primo scoglio da superare è quello di prendere confidenza con alcuni termini che causano tanto imbarazzo, come pene, vagina, sesso orale: siamo prima di tutto noi adulti a dovere prendere ‘agio’ con queste e tante altre parole, in modo da essere in una situazione di consapevolezza quando ne parleremo (perché ne dobbiamo parlare… ) con i ragazzi adolescenti, veicolando il messaggio che per noi è un piacere poter parlare dei problemi e dei dubbi che loro hanno. Quindi primo punto: l’importanza non solo del cosa dire ma del come dirlo.
Da quale età?
Eurispes e Telefono Azzurro hanno condotto un’indagine su un campione rappresentativo di 2.470 adolescenti italiani tra i 12 e i 19 anni, che ha rilevato come oltre la metà degli intervistati aveva avuto il primo rapporto sessuale completo prima dei 16 anni. In particolare, il 38,4% ha avuto il primo rapporto sessuale tra i 14 e i 15 anni, mentre l’11,7% ancora prima, tra gli 11 e i 13 anni. Poco meno del 30% lo ha avuto tra i 16 e i 17 anni, mentre appena il 4,9% ha “aspettato” di diventare maggiorenne (8° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza).
Oggi gli adolescenti (e non solo…) hanno a disposizione internet: spesso però qui si trova una sessualità ‘esagerata’, ‘amplificata, immagini spesso molto invasive, che non rispondono al bisogno basilare di informazione dei ragazzi. La base è parlare di prevenzione, contraccezione, uso corretto del preservativo, emergenze sessuali, vari miti e leggende sul sesso – e di un punto spesso trascurato: che il sesso va sempre sotto braccio con l’affettività.
In questo senso, è ancora più necessario che i giovani abbiano una guida, affinchè non si crei in loro un’idea della sessualità lontana dalla realtà.
Già verso i 4 anni i bambini scoprono le differenze anatomiche tra maschi e femmine, si informano su dove erano prima di nascere e come sono venuti al mondo. Adegueremo allora in questo caso i termini al loro linguaggio. A questa età è importante che imparino a rispettare le differenze, che abbiano un’immagine positiva del proprio corpo e che ne apprezzino le funzioni. Dai 7-8 anni poi è opportuno iniziare ad utilizzare i nomi corretti della varie parti del corpo.
In casa, le occasioni per affrontare l’argomento non mancano. La vita quotidiana è pervasa da messaggi sessuali, a partire dalle pubblicità. Basta fermarsi – difficile a volte, eppure necessario – e cogliere l’occasione per affrontare l’argomento.
Una buona educazione sessuale è un processo informativo ampio: non si tratta solo di rispondere a curiosità anatomiche, ma di affrontare anche questioni affettive. Una sana educazione sessuale non consiste soltanto nell’apprendere una serie di informazioni tecniche, ma anche nel riflettere sul piacere e sui sentimenti propri e altrui, sulle conseguenze cui può dare origine l’atto sessuale, sulla relazione con il partner, su ciò che si trova sui social, adescatori compresi. Parlare di sesso non significa parlare solo del rapporto sessuale e, in particolare, del rapporto sessuale penetrativo: la sessualità è un argomento molto vasto che riguarda il rapporto con il corpo, le fasi di crescita, cosa significa o non significa essere maschi o femmine, cosa è l’amore, l’attrazione fisica, la relazione con un’altra persona, quali sono i pericoli per la propria salute o incolumità, e così via.
È necessario rispondere alle domande in modo franco e semplice, ma non semplicistico: un minimo di preparazione è sempre richiesto, per cui è sempre meglio documentarsi prima di parlare: non è assolutamente vero che gli adulti abbiano sempre risposte corrette sugli argomenti che riguardano la sessualità, ma è assolutamente vero che in questo caso internet può essere per noi adulti di grande aiuto. E se non si sa come rispondere a una domanda, è lecito dire semplicemente che non si sa rispondere(“In questo momento non so cosa risponderti, cercherò di informarmi e poi te lo dirò”; oppure, in molte situazioni anche meglio: “proviamo a informarci insieme”). È importante veicolare il messaggio che per noi è un piacere poter parlare dei problemi e dei dubbi che loro hanno. In un’epoca in cui tutti sanno tutto e in cui bisogna essere sempre performanti e al top in ogni sfera della vita, al lavoro, a scuola, nelle relazioni, nello status sociale, incontrarsi e stare insieme nel terreno del dubbio e del confronto è un dono prezioso, non una debolezza.
Ancora: rispettare la privacy del bambino o dell’adolescente. Anche se può essere molto divertente raccontare ad amici e familiari le confidenze ricevute, è assolutamente necessario astenersi da questa pratica, che denota mancanza di rispetto e che compromette la fiducia reciproca.
E se si è proprio in imbarazzo ci si può sempre rivolgere ad uno psicologo per un paio di sedute sull’argomento. Potrebbe anche essere che parlare di sesso e affettività tocchi in noi adulti nodi non ancora risolti ed elaborati , sui quali non è mai troppo tardi intervenire.
Noi adulti aiutiamo i figli a crescere ma a volte capita una cosa meravigliosa: che i figli facciano crescere noi e che ci educhino.
In conclusione noi genitori adulti dobbiamo sempre ricordarci ‘la caratteristica più importante dell’essere genitori: fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato’ (Bowlby, 1988).
Confortante, no?
Dott.ssa Simona Sola – psicologa, psicoterapeuta, sessuologa clinica.
Si definisce menopausa il momento di vita di una donna nel quale cessa la comparsa del ciclo mestruale ma in realtà, i cambiamenti fisici e psichici possono fare la loro comparsa già qualche anno prima dell’ultimo ciclo mestruale.
Il climaterio o perimenopausa è un periodo che può essere caratterizzato da variazioni significative del ciclo mestruale in termini di frequenza, quantità, dolorabilità inoltre possono essere presenti tensione mammaria ed esacerbazione di problematiche di emicrania. Dal punto di vita emotivo e psicologico possono essere più frequenti irritabilità, variazioni dell’umore, stanchezza.
Amenorrea è il termine utilizzato per definire l’assenza di ciclo e quindi l’interruzione delle mestruazioni che può essere fisiologica, oppure iatrogena; quest’ultima è quella menopausa provocata da interventi medico chirurgici o farmacologici.
L’età media di insorgenza è compresa fra i 52 e i 54 anni ma fattori quali fumo, scarsa nutrizione, vivere ad elevate altitudini possono ridurre l’età di insorgenza.
I sintomi caratteristici che possono durare da 6 mesi ad un periodo maggiore di 10 anni e che variano da inesistenti a gravi sono:
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Vampate di calore, le cosiddette caldane con frequente sudorazione notturna, sono dovute all’instabilità vasomotoria, interessano il 75-85% delle donne e iniziano in genere prima della fine delle mestruazioni. Le vampate di calore continuano per circa 1 anno o più nella maggior parte delle donne, più di 4 anni nel 50% e oltre i 12 anni nel 10%.
Le donne avvertono una sensazione di tepore o di vero calore e possono sudare, a volte abbondantemente, la temperatura basale aumenta. La cute, specialmente quella del volto, testa e collo, può diventare arrossata e calda. La vampata, che può durare da 30 secondi a 5 minuti, può essere seguita da brividi.
Non si conoscono a tutt’oggi le cause delle vampate di calore, ma si ritiene che siano il risultato di cambiamenti nel centro termoregolatore situato nell’ipotalamo.
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Apparato genitale e urinario
A livello vaginale possono comparire sintomi quali: secchezza, dispareunia (dolore alla penetrazione) e, occasionalmente, irritazione e prurito. La diminuita produzione di estrogeni determina un lieve assottigliarsi delle mucose vulvare e vaginale che appaiono più asciutte, friabili e meno elastiche.
I sintomi vaginali così come i sintomi legati all’uretra e alla vescica, tra cui urgenza urinaria, disuria (difficoltà ad urinare), infezioni delle vie urinarie frequenti, fanno parte della cosiddetta sindrome genito-urinaria della menopausa.
La menopausa è spesso accompagnata da alterazioni del pensiero e dell’umore, da scarsa concentrazione, a volte perdita di memoria e ansia, sintomi depressivi, insonnia, sensazione di grande affaticamento.
Tutti i sintomi elencati sono transitori, non sono presenti in tutte le donne ed esistono notevoli differenze nelle diverse culture.
Secondo lo stereotipo classico la menopausa è un momento di lutto dovuto alla perdita della fertilità, in realtà dati empirici hanno mostrato che diverse donne hanno un’attitudine positiva verso la menopausa considerandola un passaggio fisiologico ma anche un’opportunità per bilanci esistenziali, ulteriore maturazione e realizzazione di obiettivi. Studi epidemiologici hanno mostrato che i fattori di stress psicosociale sono associati ad un aumentato rischio per lo sviluppo di sintomi depressivi subclinici, l’impatto di tali fattori è maggiore rispetto a quello dello stato menopausale di per sé.
Ci sono tante modalità di affrontare il cambiamento, la menopausa può essere vissuta come libertà, infatti la fine del ciclo mestruale per alcune donne rappresenta una vera liberazione soprattutto quando è stato particolarmente doloroso, abbondante spesso associato ad emicrania (in particolare per chi è affetta da endometriosi). La libertà dal timore di una gravidanza indesiderata può avere come conseguenza la scoperta di una sessualità più matura e comunicativa con il proprio compagno senza l’obbligo di una contraccezione sicura a volte ingombrante o impegnativa.
Al contrario la menopausa può essere identificata come un LIMITE oltre il quale la propria femminilità viene inevitabilmente scalfita, il confine che delimita la fine della giovinezza e l’inizio del decadimento fisico, l’accentuarsi delle rughe, l’avvicinarsi della vecchiaia. Il corpo inizia a far percepire maggiormente i propri limiti accompagnato da sintomi nuovi e difficili da gestire. L’instabilità dell’umore aumenta la percezione che tutto sta cambiando e non sarà mai più come prima.
In alcune donne i sintomi ansiosi sono supportati da paure riguardo il futuro soprattutto se esistono in famiglia riferimenti negativi, o ancor più genitori anziani bisognosi di cure. Tali situazioni di stress possono accentuare la sintomatologia di vampate, tachicardia, insonnia.
Gli studi effettuati in donne di altre culture hanno dimostrato come il riconoscimento sociale e famigliare siano fondamentali nel consentire una serena accettazione di questo momento di passaggio. Nelle culture occidentali le donne che sono dedite ad attività sportive moderate, che hanno cura dell’alimentazione e dedicano tempo a se stesse percepiscono in misura minore i fatidici sintomi menopausali.
La menopausa è assolutamente un fenomeno fisiologico, fa parte del ciclo di vita della donna, diventa necessario rivolgersi ad un esperto ginecologo nei casi in cui
il ciclo assuma caratteristiche emorragiche tanto da impoverire il contenuto ematico di globuli rossi, emoglobina e ferro; oppure quando il ciclo, scomparso da oltre 1 anno faccia nuovamente la sua comparsa. In questo caso è necessario un controllo ecografico per evidenziare la comparsa di polipi o altre formazioni che possono dar luogo a sanguinamenti. Le donne che sono obese, ipertese e/o diabetiche hanno la necessità di effettuare più controlli, mentre tutte le donne devono comunque accedere ai controlli di screening mammografico e citologico (pap-test HPV).
Quando i sintomi di insicurezza, ansia, irritabilità e/o insonnia sono preponderanti lo psicoterapeuta è l’esperto più indicato per affrontare tale disagio.
Dott.ssa Silvana Perino psicoterapeuta, sessuologa, ostetrica.